M U S E O (M U S E U M)

 

The Museo Novecento shows its experimental vocation on the exterior of the former Leopoldine building, and it does so with an artistic sign on the façade that in affirming its communicative function as mere signage, actually denies it artistically and poetically. The large text M U S E O, realised by Paolo Parisi, polarises the attention of citizens and tourists from the Santa Maria Novella Square, directly towards the loggia, a Renaissance hinge that opens and closes the recognizability and the permeability of the museum. The word M U S E O in its forms and sizes flaunts, amplifies and exacerbates the contemporary nature of the place that up until now has been unspoken, unsuggested, in the context of a Renaissance architecture overabundant in values compared to the attractive power of the institution’s cultural mission, the collections and exhibitions coexisting within the spaces of the museum. M U S E O, with its monumental dimensions, seems to burst forth from the arcades like the sound of war from the mouth of a canon, like a blare from the bell of a trumpet. The chromatic variety as well as that of the lettering in the context of the golden ratio of the loggia, with harmonies both dissonant and irreverent, is like a jazz performance in a 15th century chapel. The word is the result of a composite operation of withdrawing and quoting, cutting and sewing, and finally a significant oversizing. The wooden shapes have been cut to the maximum size allowed for safety, over 4 metres. Each letter is placed on the front of the fence and attached to it. Parisi has found a way to interact with the qualifying presence of Renaissance symbols, with a communicative function and, last but not least, with selected works of 20th century masters found in the museum at the time the work was conceived. After inspecting the rooms, he singled out the necessary letters to compose the word M U S E O from paintings, collages, manifestoes and newspapers. In each letter he used a design borrowed from the graphics and lettering of others. The final word is therefore an eclectic composition that mixes Futurism and Fluxus, Abstract art and Conceptual art. The artists that captured the imagination of Parisi are Ori, Cagli, Scheggi, Chiari, in addition to the front page of the 1921 «Firenze Futurista». The word, with its chain of letters that refers to other stories and other periods of avant-garde art of the 20th century, transfers the primary function of the museum to the exterior: the conservation of a collection, a continuity in the discontinuity of art history. This adds a second fundamental function: that of emphasising the collection, and it does so by combining the project of the artistic direction that sees the collection as a changeable asset rather than static, subject to many variable comparisons and interventions intended to deconstruct meanings, to reinvigorate artistic, poetic and critical interpretations. And as such, Parisi has borrowed from the collection and returned the disiecta membra to the public space of the piazza. Words that generate other words, other meanings, and play with different functions. To have decided on an installation created in this way also responds to a need to reread the history of art and how to interact with it in order to pursue it; a line of analysis, in this case limited to the 20th century and Italy, beginning with the futuristic visual poems and reaching the neon sentences of Maurizio Nannucci. Parisi’s modus operandi represents an innovation, different to previous ones. This is the reason it is located on the façade, a true museum outpost. Finally, thanks to the layout, it is beautiful that the word can be read with a pause to recognize the entirety of the root origins of the word M U S E O. And thus, the protective muses appear on the façade, in a version that is no longer figurative or statuary like in a 19th Century museum, but in their conceptual version, a retrospective homage to artists like De Chirico, Duchamp and Paolini; to remind us that the museum is the place of memory. Hence the citation and the creative interpretation, without which even the modern and contemporary collection of the 20th century would be a repository of silent objects of an inert beauty, of illegible words. Finally, the word M U S E O preserves and conveys the memory of the original works no longer exhibited, giving way to the presentation of the new museological project.

© Sergio Risaliti, 2019. In Paolo Parisi, MUSEO, with texts by Sergio Risaliti (curated by), Giacinto Di Pietrantonio, Helga Marsala, Marco Senaldi, Paolo Parisi, Stefania Rispoli, Carlo Cambi Publisher, Poggibonsi, 2019.


M U S E O

 

Il Museo Novecento esibisce la propria vocazione sperimentale già all’esterno dell’antico edificio delle Ex Leopoldine e lo fa con una segnaletica artistica in facciata che, affermando vistosamente la propria funzione comunicativa di mero segnale, la nega di fatto artisticamente e poeticamente. La grande scritta M U S E O realizzata da Paolo Parisi polarizza l’attenzione dei cittadini e turisti dalla piazza di Santa Maria Novella direttamente verso il loggiato, cerniera rinascimentale che apre e chiude la riconoscibilità e permeabilità del museo. La parola M U S E O nelle sue forme e misure ostenta, amplifica ed esaspera la natura contemporanea del luogo che fino ad ora veniva sottaciuta, non suggerita, dal contesto rinascimentale, architettura sovrabbondante di valori rispetto alla forza attrattiva della proposta culturale dell’istituzione, nei cui spazi convivono le collezioni e le esposizioni. M U S E O, con la sua dimensione di monumento, sembra poter uscire fuori dalle arcate come un suono di guerra dalla bocca di un cannone e come uno squillo dalla campana di una tromba. La varietà cromatica e di lettering comunica nel contesto aureo del loggiato con armonie dissonanti e dissacranti, come un’esecuzione jazz in una cappella del Quattrocento. La parola è il risultato di un’operazione composita di prelievo e di citazione, di taglia e cuci, infine di un significativo sovradimensionamento. Le sagome di legno sono state ritagliate al massimo della misura consentita loro per ragioni di sicurezza, oltre quattro metri. Ogni lettera si appoggia alla cancellata ed è ancorata alla stessa. Parisi ha trovato il modo di interagire con la presenza qualificante dei segni rinascimentali, con la funzione comunicativa e non ultimo con alcune opere di maestri del Novecento presenti nel Museo al momento dell’ideazione. Dopo aver ispezionato le sale, ha individuato in dipinti, collage, manifesti, giornali le lettere necessarie per comporre la parola museo. Di ogni lettera ha utilizzato il design. Si è appropriato della grafica o lettering altrui. La parola finale è quindi una composizione eclettica che mescola futurismo e fluxus, arte astratta e concettuale. Gli artisti che hanno colpito l’immaginario di Parisi sono Ori, Cagli, Scheggi, Chiari, oltre alla testata di «Firenze Futurista» del 1921. La parola con la sua catena di lettere riferibili ad altre storie e altre stagioni dell’arte di avanguardia del XX secolo trasferisce all’esterno la funzione primaria del museo: la conservazione di una collezione, la continuità nella discontinuità della storia dell’arte. Ma a questa aggiunge una seconda fondamentale funzione: quella della valorizzazione della collezione. E lo fa incrociando il progetto della direzione artistica che immagina la collezione come bene o patrimonio mobile, non statico, suscettibile di molteplici e variati confronti e interventi volti a decostruire significati, a rigenerare interpretazioni sia artistiche sia poetiche sia critiche. Come nel caso di Parisi che restituisce disiecta membra della collezione allo spazio pubblico della piazza dopo essersene appropriato. Parole che generano altre parole, altri significati, e giocano a diverse funzioni. L’aver deciso per un’installazione così fatta risponde poi anche ad una esigenza di rileggere la storia dell’arte e di come interagire con essa per proseguirla. Una linea che, fermandosi al Novecento e all’Italia, inizia con i poemi visivi futuristi e arriva alle sentenze al neon di Maurizio Nannucci. Il modus operandi di Parisi rappresenta una novità e uno scarto rispetto ai precedenti. Per questo si trova sulla facciata, vero e proprio avamposto museale. Bello infine che grazie all’impaginazione, la parola possa essere letta con una pausa, per riconoscere nell’insieme la radice originale della parola museo. In facciata così appaiono protettrici le Muse, in una versione non più figurativa o statuaria come in un museo ottocentesco, ma nella loro versione concettuale, in omaggio anch’esso retrospettivo a artisti come De Chirico, Duchamp e Paolini. Per ricordarci in ogni caso che il museo è territorio della memoria. Quindi della citazione e della interpretazione creativa, senza la quale anche la collezione moderna e contemporanea del Novecento sarebbe deposito di oggetti muti, di una bellezza inerte, di parole illeggibili. Infine, la parola M U S E O conserva e veicola, attraverso la segnaletica “museo”, la memoria delle opere originali non più esposte, in seguito alla presentazione del nuovo progetto museologico.

© Sergio Risaliti, 2019. In Paolo Parisi, MUSEO, con testi di Sergio Risaliti (a cura di), Giacinto Di Pietrantonio, Helga Marsala, Marco Senaldi, Paolo Parisi, Stefania Rispoli, Carlo Cambi Editore, Poggibonsi, 2019.